Safeguarding nello sport: proteggere chi pratica, responsabilmente
Nel mondo dello sport, che troppo spesso siamo abituati a pensare solo come terreno di performance, risultati e competizione, c'è un aspetto silenzioso ma fondamentale che sta finalmente ricevendo l'attenzione che merita: il safeguarding. Un termine che arriva dal mondo anglosassone, difficile da tradurre in una sola parola italiana, ma che potremmo riassumere come "protezione e tutela dell'integrità delle persone, in particolare dei minori e dei soggetti vulnerabili, all'interno dell'ambiente sportivo".
E non è solo una questione morale: oggi il safeguarding è un obbligo preciso per tutte le organizzazioni sportive. Ma vediamo nel dettaglio cosa significa davvero, chi se ne occupa e cosa comporta concretamente.

Che cos'è il safeguarding?
Il safeguarding è l'insieme delle misure, delle politiche e delle azioni messe in campo per prevenire e contrastare ogni forma di abuso, violenza, discriminazione e sfruttamento nei confronti di chi pratica sport, soprattutto quando si tratta di minori o di persone con disabilità o in condizioni di vulnerabilità.
Questo concetto include:
- La prevenzione degli abusi fisici, psicologici e sessuali;
- Il contrasto al bullismo e alle discriminazioni;
- La promozione di un ambiente sportivo sicuro, inclusivo e rispettoso.
In pratica, safeguarding significa creare le condizioni affinché ogni atleta, giovane o adulto, possa allenarsi, gareggiare e crescere in un contesto protetto, dove il benessere della persona viene prima della prestazione.
Perché è diventato così importante?
Negli ultimi anni, numerosi scandali hanno travolto il mondo dello sport a livello internazionale: casi di abusi sistematici, molestie, silenzi colpevoli da parte delle organizzazioni, e mancanza di strumenti per le vittime. In Italia, ma anche all'estero, si è compreso quanto fosse urgente e necessario introdurre una cultura della protezione e della prevenzione.
Il safeguarding, quindi, non è solo un'etichetta: è una vera e propria rivoluzione culturale. Si tratta di mettere al centro la persona, non solo l'atleta. È una sfida complessa, ma ormai ineludibile.
Chi è il responsabile del safeguarding?
Con l'introduzione del Decreto Legislativo n. 39 del 28 febbraio 2021, nell'ambito della riforma dello sport, è stata istituita in Italia la figura del Responsabile del Safeguarding (anche detto Responsabile per la tutela dei minori e la prevenzione degli abusi).
Ogni organizzazione sportiva — Federazione, Ente di promozione sportiva, società e associazione dilettantistica — ha oggi l'obbligo di nominare un proprio responsabile del safeguarding. Non è una formalità burocratica: è un ruolo chiave, con compiti ben precisi.
Cosa fa, concretamente, il Responsabile del Safeguarding?
Il Responsabile del Safeguarding ha una missione chiara: vigilare, prevenire, intervenire. Ecco, in sintesi, le sue principali funzioni:
- Prevenzione: promuove la cultura della protezione all'interno della società sportiva, organizza momenti formativi per allenatori, dirigenti, famiglie e atleti stessi.
- Ascolto e segnalazione: è il punto di riferimento a cui rivolgersi in caso di episodi di abuso, disagio o violazione del codice etico. Riceve le segnalazioni, le documenta e le trasmette agli organi competenti.
- Elaborazione e aggiornamento delle policy: collabora alla stesura e all'attuazione del codice di condotta e delle procedure interne per la tutela dei minori e dei soggetti vulnerabili.
- Supporto alle vittime: in caso di situazioni problematiche, fornisce assistenza alle vittime, indirizzandole verso i servizi di supporto adeguati.
Non si tratta dunque di un ruolo simbolico: è una figura strategica, che deve avere competenze specifiche in ambito psicologico, educativo o giuridico, e una formazione adeguata.
Come si diventa Responsabile del Safeguarding?
Per assumere questo ruolo, è necessario seguire corsi di formazione riconosciuti, spesso organizzati direttamente dalle Federazioni sportive o dagli Enti di promozione. Alcune federazioni hanno già attivato percorsi specifici per formare i responsabili sul territorio.
Inoltre, è fondamentale che il responsabile non sia in conflitto d'interessi, cioè che non ricopra ruoli che possano compromettere l'imparzialità del suo operato.
L'importanza di una rete di tutela
Il safeguarding funziona davvero solo se è parte di una rete: non basta nominare un responsabile se poi nessuno sa chi è o cosa fa. Serve una cultura condivisa, che coinvolga tutto il sistema sportivo:
Il safeguarding è anche prevenzione quotidiana
Un ambiente sportivo sicuro si costruisce ogni giorno: negli spogliatoi, durante gli allenamenti, nelle trasferte. Significa adottare comportamenti corretti, vigilare su segnali di disagio, evitare ogni forma di isolamento o ambiguità.
Non si tratta di creare un clima di sospetto, ma di diffondere una cultura del rispetto, dove ogni persona si senta accolta e protetta.
Conclusioni
Il safeguarding rende lo sport un luogo formativo, dove crescere in serenità e sicurezza. Non si tratta solo di proteggere, ma di educare, prevenire e ascoltare.
Tutti gli stakeholder possono e devono fare la loro parte. Perché tutelare chi pratica sport non è un dovere astratto: è un atto concreto di responsabilità e amore verso il futuro dello sport stesso.
In fondo, lo sport insegna a stare insieme, a rispettarsi, a superare gli ostacoli. E non c'è vittoria più grande che garantire a tutti il diritto di viverlo in sicurezza.